Palazzo Farnese a Roma (prima fase 1514-1529, seconda fase 1529-1546)

Palazzo Farnese è attualmente sede dell'ambasciata francese in Italia, si trova nella zona romana di campo dei fiori e prospetta sull'attuale piazza Farnese aperta da papa Paolo III (ossia Alessandro Farnese). L'edificio è emblematico perché rispetta quello che era il modello formale preferito da Antonio, ossia realizzare, per quanto riguarda gli edifici civili, una successione continua di finestre, di avere bugnato solo sottolineare gli angoli, avere grandi cornici marcapiano (un derivato delle trabeazioni antiche che segna l’altezza dei piani, che sono tutti uguali) ed infine un ampio bugnato segna l'accesso centrale.
Palazzo Farnese importante perché dal punto di vista tipologico si pone come uno tra gli esempi più grandi di palazzo nobiliare (ne verranno declinate tutta una serie di architetture che avranno nella suggestione dell'atrio, del cortile di della loggia l'elemento fondamentale); l'edificio nasce per volontà di Alessandro Farnese, un cardinale romano che aveva due figli e voleva costruire un palazzo degno del nome di famigli. Alessandro compro un palazzo che era già proprietà di un cardinale e per dare maggiore respiro acquista anche altre proprietà di fronte al palazzo e di fa demolire, creando l'attuale piazza Farnese; per ricavare fondi per la stessa costruzione del palazzo si concepisce con al piano terra tutta una serie di botteghe (proprio perché l'affitto delle botteghe doveva garantire la costruzione del palazzo), si immagina in un primo momento che l'edificio avesse 11 assi di bucature (quindi 11 finestre con al centro portale), un atrio, un cortile colonnato ed infine una loggia che immetteva in via Giulia (che veniva scavalcata attraverso un ponte levatoio per arrivare ad un giardino di proprietà dei Farnese affacciato sul Tevere).
Nel 1534 Alessandro Farnese viene eletto papa, il fatto che questa residenza non fosse più quella di due figli di un cardinale ma bensì quello di due figli del Papa cambio di progetti edilizi ed inoltre uno dei due fratelli venne ucciso in una battaglia e quindi il palazzo rimase al solo Pierluigi. Innanzitutto viene cancellato il discorso delle botteghe e soprattutto viene deciso si ampliarlo in dimensioni (per cui non più 11 assi di bucature ma 13), non solo quello che era stato già costruito dovette essere modificato e si procedette con l’innalzamento del piano terreno; rimane inalterato il discorso dell’asse principale (atrio, cortile e loggia).
L’atrio di entrata era già predisposto ad ospitare le sculture appartenenti alla collezione della famiglia Farnese, tante vero che Antonio si inventa una ulteriore serie di nicchie ricavate all'interno del muro, oltre le colonne che sorreggono la copertura a botte (con diretti riferimenti all’antico); superato l’atrio si arriva al cortile principale che segue esattamente i criteri dell'architettura antica, con la sovrapposizione ordinata degli ordini, con, per quanto riguarda il pianoterra, il famoso arco inquadrato dagli ordini (in questo caso sono semicolonne che si appoggiano su pilastri) con una particolare perché vediamo che qui esistono due cornici d'imposta nell'arco (come nel 1600 piemontese), proprio perché in un secondo momento il Papa vuole alzare ulteriormente l'altezza del cortile però il cantiere era già avviato e l'altezza originaria su cui doveva essere spostato portico era già stata definita, Antonio decide di lasciare in opera (quindi per la prima volta abbiamo la coesistenza di due diverse imposte d'arco che non hanno alcuna valenza relativa all'ordine, come accade in Santa Maria della pace, in questo caso è una necessità economica).
In seguito Michelangelo interverrà in parte modificando quanto Antonio da Sangallo aveva progettato, che di sicuro arriva fino a parte del primo piano ed aveva di sicuro immaginato una loggia aperta verso via Giulia, di fatto Michelangelo lo realizzò in maniera diversa.

Antonio Cordini detto Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546)

Non si chiama Giamberti perché era figlio delle sorelle dei due Sangallo, nato nel 1484 Firenze e morto nel 1546 a Roma, da giovanissimo raggiunge gli zii a Roma e si fa fama di ingegnere (addirittura venne chiamato da Bramante per controllare i calcoli della cupola di San Pietro così come Bramante l'aveva immaginata), diventerà quindi uno stretto collaboratore di Bramante del quale poi riassumerà tutti i cantieri pontifici e non, di lui analizziamo palazzo Farnese.

Opere analizzate:

Palazzo Savelli sul Teatro di Marcello a Roma (1535)

Questo palazzo dimostra come di fatto Baldassarre si adegui a quella che è l'architettura preesistente, in questo caso ha un modo di intervenire più riverente nel senso che in questi termini Baldassarre Peruzzi si dimostra un vero e proprio restauratore di quello che è un edificio antico (anche se Vasari non menziona il teatro di Marcello come luogo di intervento di Baldassarre, lo attribuisce Servio nel suo trattato di architettura). Il teatro di Marcello era un teatro dell'antica Roma che nel medioevo era stato utilizzato come luogo di botteghe e per la realizzazione di piccole casupole, nel 1300 però divenne proprietà della famiglia Savelli, una famiglia di mercanti che in parte ristrutturato soprattutto secondo ordine e su cui esso prelevò un ulteriore costruzione proprio per realizzare il proprio palazzo. 
Nel 1500 i Savelli chiamarono Baldassarre che realizzò ex novo l'ingresso principale del palazzo e il terzo piano sopra dei due ordini del teatro. Dal punto di vista della planimetria l'architetto si adegua al sedime di quello che era l'antico teatro, ma l'intervento del piano nobile è dato dalla realizzazione di grandi saloni passanti (un tipo di struttura che verrà utilizzato moltissimo nella realizzazione delle regge del 1600 e del 1700). Attualmente è possibile vedere come l'intervento di Baldassarre fosse consistito anche nella incatenatura degli elementi che appartenevano all'antico teatro romano con gli elementi che di fatto costituivano il palazzo che lui ha restaurato (per cui ha cercato di rendere stabili gli elementi architettonici dell'edificio romano).

Palazzo Massimo “alle Colonne” a Roma

Villa Chigi abbiamo detto essere abbastanza appartenente al linguaggio canonico proprio organizzate in maniera sistematica, perché si basa sulla sequenza regolare dell’ordine delle lesene, perché le lesene inquadrano le aperture delle finestre, perché è comunque presente il fregio; adesso vedremo come lo spirito camaleontico di Baldassarre Peruzzi emerga prepotentemente.
Palazzo Massimo si trova lungo via Vittorio Emanuele, si tratta di un edificio che non si pone sul sedime stradale ma si adegua ad esso, infatti come curva la strada curva anche l'edificio (mai un edificio rappresentativo come questo aveva trovato delle soluzioni di compromesso con il contesto circostante come ha fatto questo edificio) è una delle prime volte in cui un architetto utilizza ricuce in maniera molto disinvolta quella che è l'architettura preesistente, facendo diventare le incongruenze che esistono delle stratificazioni dei diversi cori edilizi che vanno confluire in quest'unico palazzo il vero pregio dell’edificio.
Si tratta di un edificio che presenta una facciata simmetrica che presenta un colonnato ai cui lati troviamo dei pilastri e delle lesene (che ripartiscono visivamente lo spazio), al di sopra dei quali troviamo la presenza di un bugnato isodomo (in parte in travertino ed in parte in stucco che stimola travertino) sostenuto dall'ordine architettonico del piano terra (l’opposto di palazzo Caprini di Bramante). Nella facciata sono presenti delle finestre la cartella, come denota la cornice esasperata.
La famiglia cui apparteneva il palazzo era molto importante a Roma, infatti il capostipite, Domenico Massimo, svolgeva un compito molto importante alla corte di Giulio II e si era molto impegnato nella riqualificazione edilizia della città; il palazzo di famiglia era la cosiddetta domus magna, detta delle colonne perché la tradizione voleva che questo palazzo avesse già un porticato colonnato. Questo edificio, che si diceva essere stato fondato in epoca romana, doveva essere riqualificato al meglio perché nel 1527 era venuto il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi di Carlo V (questo anno segnerà uno spartiacque nell'architettura romana perché alcuni architetti se ne andranno mentre altri rimasero per ricostruire). Domenico Massimo decide di fare testamento e lascia ai tre figli tre diverse proprietà che si trovavano su via Vittorio Emanuele (allora via Papalis), del palazzo più importante, lasciato a Pietro Massimo, se ne occuperà Baldassarre Peruzzi (gli altri due edifici vedranno interventi di Magone e di Antonio da Sangallo il Giovane).
In principio la facciata del palazzo non era simmetrica, per questo Baldassarre chiese ed ottenne che Pietro Massimo acquistasse un’ulteriore proprietà (quella che si trova a sinistra dell’atrio a colonne), per assumere il prospetto simmetrico che possiamo vedere. Il progetto originario venne anche in questo caso modificato, in quanto Baldassarre immaginava un cannocchiale prospettico che attraversasse tutto l'edificio dall’entrata fino alla terminazione del cortile; venne invece realizzato un breve corridoio che arriva fino al cortile, vero e proprio nucleo intorno al quale ruota tutto l’edificio.
Nel cortile del palazzo possiamo osservare il vero stile camaleontico di Baldassarre.
Una volta percorso il breve corridoio ed arrivati al cortile troviamo sulla destra, in asse con le campate del portico (dorico), la scala di accesso al palazzo (il primo ad utilizzare questa soluzione fu Luciano Laurana nel palazzo ducale di Urbino). Osserviamo che nel muro dove si trovano le scale di accesso ma nel cortile si trova un piccolo ninfeo (una piccola fontana, decorata da conchiglie e arricchimenti scultorei), con a fianco due porte su cui sono collocati dei sovrapposta provenienti probabilmente da dei sarcofagi romani (una delle due porte è vera l'altra viene posta soltanto per simmetria); al di sopra del ninfeo e delle porte si trovano tre bucature creata all'interno del muro che si chiamano “a bocca di lupo” (che possono essere in alto o in corrispondenza del sedime stradale) che contribuiscono a dare un ulteriore effetto chiaroscurale alla cortile. Tutto questo viene ricavato da uno spazio triangolare di risulta dato dallo scarto per la progettazione del cortile rettangolare (un sistema di richiamo molto l'architettura delle antiche ville romane caratterizzate dal ninfeo).
Sia il ninfeo che le due porte sono inquadrate da lesene al di sopra delle quali troviamo la trabeazione, che corre intorno a tutto il cortile; se infatti spostiamo lo sguardo, superata la lesena angolare, troviamo un prospetto completamente diverso.
Anche in questo caso troviamo due colonne, al di sopra delle quale si imposta la trabeazione e le finestre a bocca di lupo; in questo caso però, salendo ulteriormente in altezza, l’edificio prosegue nel piano nobile, sottolineato dalla presenza di lesene ioniche che culmina con un fregio decorato.
Giriamo l'angolo troviamo per continuità la colonna proiettata sul muro che diventa lesena ma troviamo tutto un altro prospetto, troviamo le finestre a bocca di lupo sia sopra che sotto le vere proprie finestre (ed in questo caso è probabile che abbiano funzione di illuminare veramente di ambienti interni), ma soprattutto notiamo un trattamento della superficie muraria completamente diverso, non abbiamo più le lesene al piano nobile (in continuità con quelle del piano sottostante), ma abbiamo un trattamento bugnato (anche qui simulato stucco), il fregio però continua.
Per chiudere, elemento completamente di distacco rispetto ad altri prospetti, il prospetto su cui si affaccia il salone principale (quello con vista diretta sulla via papale), notiamo come al piano nobile abbiamo semplicemente una loggia di ordine ionico completamente struccata e decorata (con i lacunari del Pantheon).
Nell'antichità palazzo così costruito che si affaccia su un cortile e con quattro prospetti completamente diversi non si era mai pensato, perché la logica voleva che in rigorosa simmetria tutto fosse completamente omogeneo, il fatto che coesistano come se fossero quattro edifici completamente diverse che si affacciano su una corte interna era assolutamente innovativo soprattutto se si vuole qualche modo reperire ad un linguaggio classico (perché il linguaggio utilizzato è quello che potrebbe avere un palazzo dell'antica Roma però all'interno cortile contesta, pur usando il linguaggio dell'antica Roma, quello che al modo tradizionale di concepire l'architettura antica e di riproporla in termini rinascimentali).

Villa di Agostino Chigi detta “la Farnesina” a Roma (1509-1511)

La villa è considerata come il momento più alto del suo studio dell'antico, benché poi alla fine si verifica come non sia un'architettura concepita in maniera unitaria, perché ogni prospetto è diverso dall'altro, ma in ogni prospetto emergono degli elementi di chiaro riferimento all'antico che poi visti tra loro rispondono ad un criterio di logica generale. La villa fu commissionata da Agostino Chigi, ricco banchiere senese, il quale conosceva già Baldassarre, con il quale aveva già costruito una villa per il fratello detta villa Chigi “alle volte”. Questo edificio denuncia chiaramente una matrice bramantesca di riferimento che è andata da innanzitutto l'ordine con la scansione verticale segnata dalle lesene e come citazione dalla presenza del fregio delle aperture dei mezzanini (locali di servizio), in contestazione con quello che è il ruolo di un fregio architettonico.
Da un punto di vista del rapporto con il paesaggio e chiaramente un'architettura che cerca l'unione con il territorio circostante perché le due ali abbracciano l'area antistante l'edificio, la stessa presenza di un sedile che dimostra come l'architettura usufruisce anche del paesaggio circostante.
Nella facciata principale troviamo la loggia centrale nel quale si trova l'elemento coordinatore del prospetto, ovvero la serie di lesene che segna la loggia di entrata, lesene dove l’adozione dell'ordine che rimane canonica fino alla fregio, dove come detto si trovano una serie di aperture, che determinano l'interruzione dell'adesione appieno del linguaggio classico.

Dalla parte opposta dell'edificio troviamo un prospetto completamente differente e che si pone in contrapposizione con quello che abbiamo appena analizzato, la prima impressione che abbiamo è quella di un edificio chiuso rispetto al paesaggio circostante, benché dal punto di vista dell'ordine architettonico segue esattamente lo stesso principio del prospetto che dà sul giardino interno. Inoltre Baldassarre Peruzzi per la facciata immaginava una decorazione probabilmente ad affresco, cosa che non è stata poi realizzato.
La volontà dell’architetto di far aderire l'architettura al paesaggio viene notevolmente esasperata dalla decorazione interna, essendo grande conoscitore della prospettiva utilizzo questa sua conoscenza per ulteriormente arricchire e complicare le sue architetture (che di fatto sono molto semplici), infatti nelle ali dell'edificio Baldassarre immagina una architettura disegnata che non sarebbe altro che a dilatare ulteriormente lo spazio (molto utilizzati nel 1700), si può dire che realizza in pittura quello che Bramante aveva realizzato in stucco nel coro di Santa Maria delle grazie, ma mentre il Santa Maria delle grazie la finzione serviva perché dal punto di vista progettuale bisognava rendere un'architettura che di fatto non c'era, quindi per ulteriormente a decorare ed ad esasperare il rapporto con il paesaggio. Gran parte delle altre decorazioni si richiamano quasi certamente alle decorazioni visibili nella domus aurea di Nerone, decorazioni chiamate grotteschi.

Baldassarre Peruzzi (1481-1536)

Baldassarre nasce a Siena nel 1481 e muore a Roma nel 1536, è importante perché secondo alcuni storici di architettura (soprattutto Marrey) è ritenuto addirittura uno dei primi architetti manieristici, intendendo per manierismo non colui che realizza “alla maniera di”, ma come manierismo come termini di contestazione di un'architettura all'antica per cui ci si sente individui di poter utilizzare il linguaggio antico ma non nella maniera canonica utilizzata fino ad allora; le architetture di Baldassarre Peruzzi infatti mostra un architetto assolutamente camaleontico, nel senso in grado di realizzare delle costruzioni che sono chiaramente rispondenti a quello che il linguaggio classico più elevato oppure delle architetture che del linguaggio classico ne fanno un uso completamente distorto, nel senso di sperimentalismo, ossia utilizzare gli elementi del linguaggio antico però non seguendo le regole grammaticali e sintattiche del linguaggio antico. Perché si occupa di architettura Baldassarre Peruzzi è importante perché fu il primo a concepire il progetto architettonico in termini moderni, cioè lui nel momento stesso in cui progetto le sue architetture si pone tutti problemi che quella progettazione architettonica può comportare egli risolve a priori (questo lo conosciamo perché possediamo una serie di disegni che ci permettono di capire il suo metodo di progettazione), differentemente da quello che accadeva prima, una sorta di tradizione ancora di retaggio gotico (perché le modifiche avvenivano direttamente in cantiere); è inoltre il primo che si avvale non di modelli ma di disegno di piante, prospetti, sezioni, spaccati assonometrici e prospettive come le intendiamo adesso.
La sua formazione avviene a Siena sotto l’alto patrocinio di Francesco di Giorgio Martini (impegnato nelle ultime trasformazione del Palazzo Ducale di Urbino, un architetto il cui modo di progettare ancora legato ad un sistema di tipo gotico piuttosto che rinascimentale, nel senso che la struttura quella che deve prevalere, anche se il disegno non è davvero). Nel 1503 Baldassarre Peruzzi compirà un viaggio a Roma, conoscerà direttamente Donato Bramante diventando uno dei suoi aiuti più validi e dove lavorerà per diverse famiglie nobili, tanto che analizziamo la villa di Agostino Chigi conosciuta come la Farnesina, palazzo Massimo alle Colonne e palazzo Sabelli sul teatro di Marcello (questo lo vedremo soprattutto perché si tratta di uno dei primi interventi di restauro conservativo e nello stesso tempo un intervento di progettazione ex novo perché il palazzo ingloba parte dei resti del teatro, un edificio della 17 d.C.).


Opere analizzate:

La chiesa di San Biagio a Montepulciano (dal 1518)

Il committente dell'opera  era il cardinale Antonio del Monte, che avrà un ruolo importantissimo alla corte di Giulio II, che Antonio conosceva perché a Montepulciano aveva realizzato il suo palazzo. La chiesa venne consacrata nel 1529 anche se rimase incompiuta da parte di Antonio e venne proseguita da un altro architetto fiorentino chiamato Baccio d’Agnolo (anche se rimase comunque incompiuta), la chiesa è importante perché rappresenta il primo esempio di architettura religiosa che si rifà direttamente alla chiesa di Santa Maria delle carceri ma che dal punto di vista non strutturale ma formale introduce degli elementi nuovi (da verranno ripresi dagli architetti a Roma nel 500), ma anche importante perché con il suo prospetto ispirerà tutti coloro che nel 1516 parteciparono al concorso per la facciata della chiesa si San Lorenzo a Firenze (quindi vuol dire che questa facciata ha qualcosa di nuovo). La prima cosa che si nota è la presenza accanto al corpo della navata principale di due campanili (niente di nuovo perché sia il romaniche che il gotico ci hanno abituato a questo tipo di soluzione), rappresenta quindi uno dei primi esempi di architettura rinascimentale che riprende questo tema e lo riprende in maniera classica perché le considera parte integrante dell'architettura ma soprattutto introduce in esse l'ordine l’ordine antico (questo tema non influenzerà solo gli architetti che lavoreranno a San Lorenzo, ma arriverà anche a Roma al cantiere di San Pietro, dove Bernini voleva utilizzare la stessa soluzione per la facciata). 
Dal punto di vista della pianta, se eliminiamo l’abside, tutto richiama, anche quasi nelle proporzioni, la chiesa di Santa Maria della Carceri, solo che qui dal punto di vista formale Antonio si inventa qualcosa di nuovo, ovvero il sistema strutturale è esattamente lo stesso (una cupola su pennacchi isterici poggia su una struttura continua), visivamente però questa struttura non è continua perché Antonio libera gli angoli su cui poggia la parte della cupola dal muro, creando quello che sembrerebbe un pilastro (che strutturalmente però funziona come una muratura continua), tutto questo per ottenere all'interno dello spazio dell'edificio delle sensazioni di tipo più chiaroscurale e per utilizzare maggiormente la luce che penetra dalla cupola o dalle finestre. 
Analogamente a Santa Maria delle Carceri gli ambienti che si vengono a creare intorno al bando di crociera sono voltati a volte, però Antonio fa un passo ancora oltre nel senso che individua uno spazio interamente indifferenziato però dall'esterno io capisco qual è l'entrata principale perché nascosta dietro la zona del coro Antonio posizione all'abside, che ha un ruolo di sacrestia (per cui esternamente o un orientamento preciso, sottolineato dalla presenza dell'abside per marcare ancora meglio il ruolo dei due campanili di entrata, che mi danno l'idea dello spazio che devo percorrere). Importante dal punto di vista della trattazione delle superfici è il tema della lesena che segna il tamburo, trovandolo sia all'esterno che all'interno dell'edificio, un tema che verrà poi ripreso in maniera molto più raffinata ed evoluta da colui che si occuperà della cupola di San Pietro.

Antonio Giamberti detto da Sangallo “il Vecchio”

Fratello più piccolo di Giuliano, detto il Vecchio per distinguerlo dal nipote che sarà “il Giovane”; anche lui si forma con il padre ed il fratello, ma di lui sappiamo per certo che l'interesse più che all'architettura sarà all'ingegneria, tanto è vero che Antonio Giamberti avrà abbastanza fortuna a Roma all'epoca di papa Alessandro VI Borgia e che si occuperà sotto papa Giulio II, per un certo periodo di tempo, delle fortificazioni dello Stato Pontificio e in effetti Antonio si occupò prevalentemente dell’architettura di tipo militare. Per quanto riguarda la sua attività toscana noi realizziamo un solo edificio che era chiesa di San Biagio a Montepulciano in provincia.

Opere analizzate:

Villa Medici a Poggio a Caiano, Prato (dal 1485)

Questa villa è considerato il prototipo delle architetture cosiddette di villa, segnerà una tappa fondamentale, come sostiene il famoso storico di architettura James S. Ackerman che in una sua monografia dedicata al tema della villa pone nel Rinascimento villa Medici a Poggio come l'esempio per eccellenza da cui poi seguiranno tutta una serie di edifici che declineranno in parte alcuni dei suoi caratteri ma che dalla e proprio partita.
Poggio a Caiano era una tenuta dei medici abbastanza vicino alla città di Firenze e rappresenta al meglio quella che era la volontà di Lorenzo de Medici, ovvero la presenza evidentemente ingombrante della famiglia sul territorio, perché questa villa si presenta come un elemento estraneo che si poggia sul terreno ma che non lo vuole fare completamente, vuole dimostrare come i Medici siano sempre a contatto con la città però non volendo farne parte, come dimostra la presenza del porticato al piano terreno (che è stato individuato come un elemento di unione e di preparazione al contempo degli abitanti la villa rispetto al contesto).
La struttura poggia su un solido porticato, al cui interno trovano spazio tutti i magazzini ed i locali di servizio; al di sopra troviamo la vera e propria struttura e grazie agli album di disegni che ci sono arrivati possiamo vedere come abbia subito mutazioni durante il tempo o comunque dimostrano come il progetto originario poi di fatto nel tempo sia stato modificato, che riguardano soprattutto la necessità di avere maggiore illuminazione. La prima trasformazione che si nota è l'eliminazione delle stanze adiacenti il salone principale per ottenere una maggiore illuminazione e risalto di questa aula, inoltre le scale di accesso alla villa originariamente non erano a tenaglia (in modo tale che la struttura “abbracciasse” il territorio, che vedrà una notevole fortuna nel XVII secolo) ma erano semplicemente due rampe perpendicolari alla facciata. Un altro elemento importante è dato dalla considerazione del portico, uguale alla funzione di raccogliere tutti gli ambienti di servizio in uso il palazzo e di filtro tra gli abitanti del palazzo ed il territorio circostante (ma anche di passeggiata sopraelevata), in questo senso sembra che rispetto al disegno iniziale non sia cambiato poco o niente. Importante è anche l'organizzazione delle aperture, le quali denunciano quelle che sono le funzioni della stanza che illuminano, questo lo si nota grazie alla gerarchia con la quale sono state pensate, infatti non c'è una continuità degli assi (come siamo stati abituati a vedere dei palazzi fiorentini), infatti come detto le stanze più importanti hanno finestre più vicine tra loro, gli spazi meno importanti hanno una sola apertura limitata all'angolo dell'edificio.
Questo tipo di organizzazione, che vede questo stacco netto tra la parte centrale di rappresentanza ed una parte di servizio, è una soluzione sconosciuta al modo di progettare dei toscani (che invece vedeva sempre un interasse costante), che invece era molto conosciuta nell’architettura veneta, per cui vuol dire che in qualche modo Giuliano ha avuto l’ispirazione da qualcuno, che potrebbe essere lo stesso Lorenzo de Medici (infatti Lorenzo aveva una notevole influenza sulla costruzione di questa villa, non a caso quando muore i lavori si interrompono e inoltre lungo tutto il fregio del prospetto principale correvano delle terracotte marmoree che mostravano il trionfo dell'età dell'oro, per mostrare l'opulenza di questa famiglia).
Una volta superate le scale si che trova davanti ad un grande portico o loggia d’entrata (la cui decorazione imputabile alla volontà di Lorenzo, con un ordine ionico, architrave, fregio e timpano), seguito da un atrio passante ed infine si arriva alla zona più importante della villa, ovvero la sala di rappresentanza (voltata a botte), dove Lorenzo rinuncia alle due stanze laterali alla sala per fornire maggiore illuminazione (dopo la sala di rappresentanza che trova davanti ad un ulteriore sala che porta poi dall'altra parte del giardino).
James S. Ackerman sostiene infine che un diretto riferimento dell'architettura di Poggio a Caiano sia la famosa villa romana detta “delle sette finestre”, una villa che alla fine del quattrocento stava affiorando in una località molto vicina a Poggio, quindi è stato ipotizzato, soprattutto per quanto riguarda il portico al piano terreno come filtro tra la residenza ed il territorio circostante, se proprio stato suggerito da questa villa romana (se non a Giuliano sicuramente a Lorenzo).

Santa Maria delle Carceri a Prato (1485)

Già guardando il prospetto della chiesa richiama subito alla mente, sia come colori e sia come organizzazione di disegno architettonico, la chiesa di Santa Maria novella e quindi Leon battista Alberti, tanto è vero che è stato largamente riconosciuto che la chiesa di Santa Maria delle Carceri, oltre che costituirsi come primo esempio di architettura religiosa a pianta centrale, rappresenta dal punto di vista architettonico un ottimo fusione tra sistema strutturale stabilito da Filippo Brunelleschi ed il disegno architettonico definito da Leon battista Alberti. La chiesa di Santa Maria delle Carceri sorge a Prato nelle vicinanze della fortezza sul sedime che originariamente era occupato dalle antiche carceri, vuole la leggenda che nel 1484 un giovane vide muoversi un'immagine di Maria che era raffigurata lungo il muro di queste carceri ormai fatiscenti, si sparse la voce e per questo Lorenzo de Medici decise di fidanzare la costruzione di questo edificio chiamando Giuliano (edificio su cui Lorenzo poté ingerire sia dal punto di vista economico che dal punto di vista formale perché era diventato cognato del vescovo di Firenze, Francesco Orsini, il quale era spesso a Roma e aveva delegato i suoi poteri a Lorenzo).
Come abbiamo detto la pianta che progetta Giuliano si può definire come la prima pianta centrica, infatti in questo caso di impianto definito da una croce greca (perché a tutti i bracci uguali), lo spazio che si percepisce è uno spazio indifferenziato nel quale non vi è presente alcuna gerarchia né di percorso e di percezione visiva (tutti gli elementi architettonici hanno la stessa importanza). Questa pianta verrà ampiamente usato gli architetti che lo seguiranno (soprattutto come vedremo il fratello), tuttavia è stato avvicinato il progetto di Giuliano alla chiesa di San Sebastiano Mantova, però dal punto di vista strutturale e dal punto di vista spaziale in questo caso è molto più chiaro un impianto come quello sangallesco (abbiamo una croce greca con tre entrate, un'idea mai realizzata di abside ed in cui la struttura e continua, infatti la cupola si imposta tradizionalmente agli angoli del vano di crociera, i cui muri svolgono una funzione strutturale). Un altro riferimento che sarebbe importante citare di questa pianta è un disegno, attribuito dubitativamente o a Giuliano da Sangallo o a Bramante, che raffigura uno dei primissimi progetti della chiesa di San Pietro a Roma (infatti Giuliano ha modo di lavorare a Roma direttamente a contatto con Bramante, di cui diventa uno dei suoi più stretti collaboratori).
Come si può vedere in sezione si tratta di un edificio molto semplice dal punto di vista architettonico, in cui, analogamente a quanto abbiamo visto sia nel caso di San Sebastiano ma anche delle architetture più piccole di Brunelleschi, gli spazi adiacenti alla cupola sono tutti voltati a botte, proprio per contribuire al sistema di rafforzamento della struttura della cupola, che non è altro che una calotta sferica su pennacchi.
All'interno del linguaggio brunelleschiano ha la sua massima espressione, infatti se all'esterno il contatto più diretto ed immediato è quello di Leon Battista Alberti, all'interno il trattamento delle superfici è esattamente analogo a quanto faceva Brunelleschi a Firenze, quindi l'evidenziazione del sistema scheletrico e strutturale attraverso l'utilizzo della pietra serena e soprattutto attraverso l'utilizzo della famosa lesena (che in questo caso non sei incisioni).
Per quanto riguarda la decorazione interna fu realizzata da Domenico Ghirlandaio, si dice che il disegno per gli altari fosse opera dello stesso Giuliano e che riprende esattamente le edicole presenti all'interno del Pantheon. All’esterno si nota come in questo caso viene utilizzato un tamburo circolare (con bucature) per raccordare la cupola circolare con l'ambiente sottostante; si può anche notare una somiglianza tra la soluzione angolare di Santa Maria novella e la soluzione adottate da Giuliano, così come l'utilizzo del marmo verde di Prato intervallato con il marmo bianco di Carrara.
La fine della costruzione della chiesa (anche se manca ancora una facciata) è attestabile all’800.

Giuliano Giamberti detto da Sangallo (tra il 1445 ed il 1452-1516)

Il vero cognome è Giamberti, denominato da Sangallo perché Sangallo è un quartiere fiorentino a ridosso della porta di San Gallo, non si sa l'anno preciso di nascita ma sappiamo che nacque tra 1445 ed il 1452, sicuramente morirà a Roma nel 1516. Giuliano da Sangallo è un architetto di cui la storiografia conosce ancora molto poco (che si sta ancora studiando sopra), di lui si conoscono certamente i suoi interessi per l'architettura antica perché di fatto esistono due album di disegni pieni di edifici tratti dall'antico (che possono essere veramente esistiti a Roma o varie interpretazioni dello stesso architetto). Giuliano è figlio di un falegname che lavora presso la porta di San Gallo a Firenze, lavorando con il padre e con il fratello Antonio; non si sa come va a Giuliano entra da giovanissimo, intorno ai vent'anni, nell'orbita di Lorenzo il Magnifico, diventando l'architetto ufficiale dei Medici (più ancora di Michelozzo che si era occupato della costruzione del palazzo di famiglia), quindi sicuramente l'attenzione per l'antico è maturata nel cenacolo di era il famoso giardino di San Marco dei Medici. Giuliano per la famiglia Medici realizza due tra le più importanti architetture che il quattrocento toscano abbia conosciuto, che diventano dei prototipi per quella che sarà l'architettura toscana ma anche rinascimentale e sono per quanto riguarda l'architettura religiosa la chiesa Santa Maria delle Carceri a Prato, mentre per quanto riguarda l'edilizia civile la villa Medici di Poggio a Caiano.

Opere analizzate:

Palazzo per Adriano de Caprini in Borgo (1510)


Il committente era un importante esponente dell'aristocrazia romana, palazzo importante perché in qualche modo coniuga quella che è la necessità di rifarsi al linguaggio architettonico antico (che da questo momento in poi sarà motivo trainante dell'architettura romana per tutto il cinquecento e parte del seicento) con quelle che sono necessità di tipo commerciale e qui Donato Bramante dimostra di conoscere molto bene la tipologia della casa romana (della Roma Imperiale) che vede al piano terreno la bottega con il mezzano (un piccolo appartamento ricavato nell'altezza totale del piano terreno) segnato da un bugnato molto accentuato e poi l'applicazione dell'ordine architettonico al piano superiore con colonne binate, su cui insiste una trabeazione a metope e triglifi; siamo quindi di fronte all'adozione di un ordine architettonico che non era mai stato utilizzato per un edificio civile proprio sull'onda di questa riscoperta dell'antico (vedremo come questo tipo di soluzione architettonica verrà ribaltata negli anni 40 e 50 del 500 da un architetto e che sarà Baldassarre Perruzzi con il bugnato sopra l’ordine).

Tempietto in San Pietro in Montorio (1502/1508-1509)



Il tempietto di San Pietro in Montorio è il primo edificio classico costruito a Roma, Bramante lavorò anche a progetti più grandi e di maggior rilievo, ma che vennero completati solo diversi secoli dopo; per questo il tempietto è uno dei pochi in grado di poter dare un’idea dell’opera di Bramante, tanto che lo stesso Palladio lo inserisce nel libro quarto delle sua opera (quello dedicato esclusivamente ai templi antichi).
Questo tempietto è stato costruito all'interno di un chiostro della famosa chiesa di S. Pietro in Montorio, l’edificio fu fondato dal re di Spagna ed è attualmente proprietà della corona spagnola e sorge sull'area che si dice essere stata luogo del martirio di San Pietro. Già introdotto nella corte di papa Giulio II Donato Bramante ottiene anche questa commessa, ossia la realizzazione di un tempio simbolico da costruirsi su quello che appunto si riteneva essere il luogo del martirio di San Pietro. Rispettando quelle che sono le tradizioni dell'antico Donato Bramante decide che la forma circolare era la forma che meglio potessero rappresentare questo luogo ed immagina oltre alla costruzione di questo tempietto commemorativo anche una nuova organizzazione spaziale del cortile, in quanto l'architetto pensava alla realizzazione di un cortile circolare caratterizzato da un porticato semicircolare ed aperto (in realtà alla fine venne realizzato uno spazio rettangolare che in parte lo sacrifica). L’idea di una rotonda, in se, non è del tutto nuova (esistevano altri edifici circolari nel 400), ma il tempietto è il primo edificio del Rinascimento in cui la cella è circondata da un colonnato che sostiene un’architrave (alla maniera antica, dove gli intercolumni sono tutti uguali). La scelta della forma circolare derivante dallo studio dell'antichità romana, il riferimento per eccellenza è stato individuato nel tempio di Portuno ad Ostia, un edificio pianta circolare che si articola essenzialmente in tre parti architettoniche definite: una cripta, una cella e poi la copertura, esattamente in questo modo si articola il tempietto di San Pietro in Montorio.
Il linguaggio formale e strutturale del tempietto si avvicina all’essenza dell’architettura antica più di qualsiasi altro edificio del 400; Bramante ha largamente superato i compromessi tra l’architettura cristiana medioevale e le forme dell’antico emesse nel XIV secolo. Questo linguaggio classico del suo periodo più tardo fu il risultato di un confronto consapevole con l’architettura romana antica (ciò non significa che ha del tutto rimosso le sue radici lombarde, in particolare per quanto riguarda l’illusionistica). Dal punto di vista dell'utilizzo dell'ordine Donato Bramante sceglie in questo caso l'ordine dorico perché chiaramente è un ordine maschile, in particolare per la prima volta nel Rinascimento l’architetto utilizza una trabeazione a metope (con simboli della passione di Cristo che tornano ciclicamente) e triglifi (applicati in maniera corretta seguendo le regole canoniche dell'ordine antico, nel cortile del belvedere lo utilizzerà una seconda volta); mentre il riferimento ad una numerologia divina è molto evidente all'interno di questo edificio nel senso che il numero otto i suoi multipli o sottomultipli regolano l'intera progettazione architettonica. Il tempio poggia su di un podio rispetto alla linea di terra, è caratterizzato da una cella circolare e da un portico circolare anch'esso di colonne doriche con trabeazione dorica; le dimensioni sono molto contenute e per quanto riguarda l'adozione dell'ordine alle caratteristiche dell'architettura antica Donato Bramante cerca assolutamente di essere coerente, ossia si assiste sia per quanto riguarda l'esterno che per quanto riguarda l'interno alla realizzazione di lesene (all’interno) e nicchie alternate a lesene (all’esterno) come proiezione delle colonne (chiaramente attraverso una forma di tipo proporzionale) seguono la raggiera (nel senso che sono progressivamente rastremate), cosa che non gli impedisce di aprire anche alcune finestre le cui cornici vanno ad appoggiarsi sulle lesene. 
Anche all’interno adotta la trabeazione a triglifi su cui si imposta il tamburo che regge la cupola (semisferica perfetta) con una lanterna molto alta, anche in questo caso (oltre che nel disegno generale) Bramante segue gli antichi per la forma della cupola e per il fatto che è costruita con il conglomerato cementizio; ma mentre nell’antichità la cupola poggiava direttamente sull’ordine maggiore, qui Bramante inserisce un tamburo (che ha un’altezza simile al raggio della semisfera), per quanto riguarda la sua decorazione, l’architetto decide di non adottare l'ordine architettonico ma si limita a segnarlo, come ideale proiezione della lesena, si limita ad individuare delle cornici architettoniche tra cui vengono inserite nelle nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari. Nell'antichità c'erano stati vari esempi di pseudo ordini che andavano ad individuare le zone più alte degli edifici, in questo caso Bramante decide che non è necessario ed anzi si inventa la balaustra come alternativa a quell'attico che abbiamo visto nel caso di Firenze a Santa Maria Novella o che nell'antichità esisteva nel Pantheon. In pratica Bramante per fare in modo che la non presenza di un ordine superiore rispetto ad un ordine architettonico definito sottostante fosse evidente posizione la balaustra, in uno spazio che in realtà non è praticabile, come elemento di separazione che consente la coesistenza dei due livelli.
Nonostante le sue dichiarazioni dell'antico questa architettura sarà prototipo di tutte l'architettura a pianta centrale che da questo momento in poi verranno realizzate a Roma, anzi verrà considerata come una delle architetture rinascimentali che meglio soddisfano lo spirito dell'architettura classica.
Un’elemento di rottura con la tradizione quattrocentesca è il fatto che il visitatore, una volta che si trova all’interno della cella, stenta a credere che il fine reale dell’architettura sia quella di creare uno spazio; infatti gran parte della superficie è occupata dall’altare e dai suoi gradini, tanto che lo spazio per i fedeli è molto limitato (il diametro interno è di circa 4,5 metri). Questo ci fa capire che il vero tema dell’edificio è l’esterno (si tratta di un monumento nel senso tradizionale del termine)

La chiesa di Sant’Andrea a Mantova (1470/1472)

 Leon battista Alberti morì nel 1472 ed anche in questo caso la costruzione è stata seguita dall’Luca Fancelli; anche in questo caso predomina come tema architettonico quello dell'arco di trionfo, infatti la facciata della chiesa di Sant'Andrea a Mantova non è altro che un enorme arco di trionfo articolato attraverso un ordine gigante dato dalle lesene che scandiscono la facciata, identificando il centro il grande arco trionfale (con lesene scanalate e rudentate, che vanno a costituire l’ordine dell’arco di trionfo), anche se il vero ordine che scandisce l'architettura è quello dato dalle quattro lesene che definiscono l'intera facciata (e che alluderebbe alla presenza delle navate laterali). L’obbiettivo del Gonzaga era quello di permetter una perfetta dizione durante l'ostensione delle reliquie del santissimo sangue di Cristo, quindi Leon battista Alberti optò per la realizzazione di un edificio con un'unica aula (o un’unica navata) con cappelle laterali.
L'ingresso è esattamente lo stesso del Pantheon perché abbiamo un accesso coperto da una volta a botte costituita da lacunari e rosette, grazie ad una notevole profondità voluta da Leon battista Alberti, che si costituiva livello d'accesso come un portico; un grande arco trionfale articolato a sua volta su due livelli, il primo cieco (dato nicchie) e il secondo dato da grandi finestroni che andavano ad illuminare direttamente le cappelle all’interno della chiesa. Un altro elemento importante della costruzione è dato dall'ombrellone, al di sopra del timpano del grande arco di trionfo; il suo obiettivo è quello di mitigare la luce che arriva dall’oculo, che si pone su un piano arretrato rispetto all’ombrellone (in pratica impedisce che la luce entri direttamente nella navata creando una sorta di penombra). 
 A fianco dell’ombrellone inoltre si trovano dei grandi contrafforti utilizzati da Leon battista Alberti per contenere le spinte della grande volta a botte che va a coprire la navata centrale (analogo espediente tecnologico utilizzato dai romani nella basilica di Massenzio); inoltre Leon battista Alberti sfrutta la presenza di cappelle più grandi alternati a cappelle più piccole (ammorsate da due pilastri più vicini tra loro e decorati a candelabre) per creare delle volte a botte che coprono le cappelle più grandi per arrivare all’altezza della grande volta a botte della navata e contrastare il suo peso, che consente alla volta di poter resistere. Le cappelle sono alternate grazie alla presenza di un grande ordine interno che corrisponde al grande arco di trionfo esterno (il tema dell'arco di trionfo quindi si ritrova anche all'interno).
L’edificio è definito a croce latina (quando il transetto a dimensioni più piccole rispetto al vano della navata centrale); probabilmente Leon battista Alberti non aveva immaginato l'esistenza di un transetto (si dice questo caso che il transetto è immisso).

San Sebastiano a Mantova (1460)

 Leon battista Alberti arriva Mantova grazie al suo ruolo di membro della famiglia pontificia, in questo caso è al seguito di papa Pio II, il quale nel 1460 decide di indire una dieta che si svolge a Mantova per promuovere una nuova crociata. A Mantova troviamo Ludovico Gonzaga, il quale ne approfitta e ottiene da parte del Papa dei finanziamenti per riqualificare la propria città.
La chiesa di San Sebastiano nasce come ex voto, nel senso che i signori di Mantova, poiché la sua città è soggetta a pestilenze, chiede a San Sebastiano di far sì che la sua città non venga colpita dalla peste mentre si svolge questa manifestazione, quindi si decide di realizzare questo piccolo edificio che però rispetto ad alcuni precedenti a cui questo edificio si ispira si colloca, dal punto di vista dimensionale, in una posizione nuova (in quanto in pratica è un quadrato di 16 m di lato).
 Elemento caratteristico di questo edificio religioso e il fatto che si posiziona su una basamento, in quanto Leon battista Alberti colloca a livello del terreno una cripta su cui poi fa sorgere l'edificio religioso vero proprio (le due scale vennero aggiunte nel 1919, in realtà l'accesso originario era laterale). La presenza di questa cripta collocata al piano terra svolge il vero proprio luogo di cripta ma anche un ruolo molto importante nel caso di alluvione perché impedisce all'acqua di arrivare al livello della chiesa vere propria (infatti questa era una regione soggetta questo tipo di calamità), tra l'altro nel suo trattato Leon battista Alberti promuove il fatto che gli edifici religiosi siano posti su di un podio.
 Dal punto di vista dell'articolazione della pianta notiamo come questo edificio anche strutturalmente richiama due grandezze, che sono la sagrestia vecchia e la cappella pazzi di Brunelleschi, molto più vicina è la risoluzione della cappella pazzi perché analogamente esiste uno spazio centrale a cui si affiancano degli spazi laterali voltati a botte, che servono dal punto di vista costruttivo a sostenere la cupola che copre questo grande spazio centrale; infatti la chiesa di San Sebastiano a Mantova, per le sue dimensioni, si può considerare come prima edificio a pianta centrale che adotta e sfrutta i sistemi costruttivi introdotti da Filippo Brunelleschi per risolvere questioni di tipo statico relativo alla copertura.
 Sappiamo attraverso un disegno del 500 di Antonio Labacco possiamo avere un'idea di come dovesse essere l'alzato di questo edificio, notiamo infatti che si conclude in maniera molto diversa; interessante è il fatto che il timpano in corrispondenza dell’ingresso principale sia spezzato e anche qui abbiamo una citazione perché è Leon Battista Alberti che cita se stesso per la soluzione che probabilmente immaginava per il tempio malatestiano. In realtà dal punto di vista architettonico questa è una vera e propria architettura concepita completamente da Leon battista Alberti, anche se il cantiere fu di fatto seguito dal suo aiuto che in questo momento Luca Fancelli.
L’ambiente interno è molto scabro ed è in parte troviamo una citazione di Filippo Brunelleschi nel voler sottolineare le linee degli archi, però notiamo come realtà le soluzioni angolari sono ben altre.

Facciata di Santa Maria Novella a Firenze (1458-1460/1470)

 Un’opera anche questa commissionata da Giovanni Rucellai, il quale riesce ad ottenere da parte delle famiglie che ne beneficiano le cappelle della chiesa per cui in qualche modo acquista da parte di queste famiglie che detengono i benefici delle varie cappelle all'interno della chiesa i loro diritti, per cui decide con il consenso dell'arte della lana (una delle arti che aveva la tutela di questo edificio) ottiene la possibilità di ricostruire la facciata della chiesa (che poi sarà l’unica chiesa del 400-500 ad avere una facciata) dando l’incarico a Leon Battista Alberti.
La chiesa domenicana fino ad allora aveva una facciata molto scabra che però si articolava con alcuni nicchioni che custodivano al loro interno le sepolture di alcuni insigni personaggi cittadini ed alcuni esponenti della gerarchia domenicana della città. Quindi anche nel caso della chiesa di Santa Maria Novella di Leon battista Alberti è un intervento di facciata, quindi risolvere l'architettura attraverso un disegno; punto fisso del progetto di Leon battista Alberti è dato appunto dalla profondità che questi sepolcri hanno, una profondità che gli servirà per fare l'ennesima citazione, infatti nel portale di accesso risulta come l’arco possegga uno stralcio di volta a botte che ha una decorazione che è identica a quella del pantheon (lacunari disegnati a rosette).
 Leon Battista Alberti quindi pone sopra i sepolcri degli archi spezzati, che vengono riproposti anche dell’altro lato (dove in realtà i sepolcri non c’erano) ed attraverso il disegno Leon battista Alberti dalla una lunghezza maggiore di quella che in realtà non sia, in quanto in realtà la Chiesa finisce dove finiscono i sepolcri, quindi le testate che chiudono la facciata sono sporgenti rispetto quello che al perimetro della chiesa originale. Vediamo come esiste anche qui l'applicazione di un ordine gigante, semicolonne impostate su dei plinti molto alti (anche questa è una citazione perché nell'architettura tardo antica si tendeva ad usare un plinto su cui appoggiare il basamento della colonna molto alto), che serve da un lato recuperare l'altezza dei sarcofagi e dall'altro per arrivare alla quota di imposta della copertura interna delle navate.  Il prospetto originale della chiesa è quello di una semplice chiesa a capanna romana (cioè la navata più alta coperta da un tetto a capanna con due ali laterali più basse), nel caso del nuovo disegno di Leon battista Alberti decide  innanzitutto di evidenziare la parte centrale con un grande timpano che va a costituirsi con un vero e proprio secondo ordine architettonico; che però deve relazionarsi rispetto al primo ordine del basamento, ma poiché l'impianto originario era a capanna l'architetto uniformare tutto in un grande tattico ma decide di posizionare un elemento architettonico intermedio (tra i due ordini) che non contesta il fatto che siano due ordini sovrapposti. Infatti le ali nel laterali dell'ordine superiore cadono a metà degli archi delle semicolonne dell'ordine sottostante, una cosa che architettonicamente non era corretto ma la presenza dell'elemento d'interruzione che interrompe la messa in relazione visiva tra i due ordini permette di non notare l’errore; tra l'altro nel Pantheon esiste un identica soluzione.
 Un’altra grande innovazione è la collocazione nelle ali (dove dietro si dovrebbe vedere la copertura delle navate laterali) due grandi volute (da questo momento in poi tutte le architetture che hanno una conformazione a capanna utilizzeranno la voluta, soprattutto nel 600 e nelle chiese gesuitiche romane).
Come abbiamo detto Leon battista Alberti aggiunge ai lati dell'ordine inferiore una lesena affiancata da una colonna (entrambe giacenti su un unico alto plinto di base), che altro non sono che una citazione della risoluzione laterale della basilica Uppia (notiamo anche come il fregio sovrastante diventa motivo di disegno). Per quanto riguarda i materiali utilizzati Leon battista Alberti si rifà a quella che era la grande tradizione fiorentina, che aveva come riferimento la facciata della chiesa di San Miniato e il battistero di San Giovanni (edifici costruiti nell'alto che nel basso medioevo, circa del 1100), utilizzando marmo bianco di Carrara e marmo verde di Prato.